mercoledì 11 luglio 2018

Recensione di Flatlandia di Edwin A. Abbott


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Titolo: Flatlandia. Racconto fantastico a più dimensioni


Autore: Edwin A. Abbot

1° pubblicazione: 1884

Numero pagine: 166











Trama: 

Il potenziale romanzesco della geometria, come di ogni altra disciplina rigorosa, è enorme. Il reverendo e pedagogo Edwin Abbott Abbott (1838-1926), che per molti tratti è avvicinabile al suo contemporaneo Lewis Carroll, ne ha dato una dimostrazione memorabile nel racconto che qui presentiamo. Mondo bidimensionale abitato da segmenti, triangoli, quadrati, poligoni vari e sublimi circoli, la Flatlandia (o Paese del Piano) ci viene descritta con perizia etnologica e candido humour da un suo abitante, un eccellente Quadrato. In quel mondo, le gerarchie sono immediatamente evidenti: si passa dai volgari e spigolosi Triangoli (gli operai), ai più rispettabili Quadrati e Pentagoni (i professionisti) e ai nobili Poligoni, che si approssimano indefinitamente ai Circoli (i sacerdoti), nei quali la bruta natura angolare è del tutto annullata. Le donne sono Segmenti, e implicita nella forma è la loro natura bassa e infida, ma supremamente potente e temibile, che viene illustrata in alcune pagine di esilarante misoginia. Siamo introdotti alla complessa legislazione e agli insoluti problemi della Flatlandia; veniamo a conoscere la storia spesso drammatica del paese. E infine assistiamo agli emozionanti incontri del Quadrato narratore con il mondo unidimensionale della Linelandia (o Paese della Linea) e con la sconvolgente realtà dello spazio tridimensionale, scoperta attraverso il dialogo con una Sfera.
Si rivela a questo punto la sottigliezza speculativa del libro. Il lettore tridimensionale è partito da una posizione di onnisciente superiorità: ciò che per gli abitanti della Flatlandia è oscuro e inestricabile, appare a lui con assoluta evidenza, così come il nostro mondo, oscuro e inestricabile, potrebbe apparire a una maligna divinità che lo avesse creato come un giocattolo imperfetto. Ma questo meccanismo di mondi concentrici, incompatibili e incomunicanti, in realtà mette in dubbio i nostri stessi punti di riferimento, e il libro si chiuderà con la inquietante ipotesi di una Quarta Dimensione. In un gioco di specchi, questa ultima supposizione ci fa intendere che il nostro mondo tridimensionale è probabilmente osservato da un mondo ulteriore con la stessa superiorità e indifferenza che noi mostriamo verso gli abitanti della Flatlandia, e la prospettiva si apre così su una molteplicità di mondi diversamente ciechi e ignari, incapsulati l’uno nell’altro.
Non è mancato chi ha voluto vedere nel racconto di Abbott una sorprendente anticipazione della teoria einsteiniana, e infatti il libro è diventato ghiotta lettura di matematici e scienziati. Ma Flatlandia è un universo fantastico, minuscolo e perfetto e, come tale, resta innanzitutto un esercizio inesauribile dell’immaginazione.




La mia recensione: 

Istigata da un mare di recensioni positive e sospinta dal mio interesse per la matematica e la geometria, ho decidono di leggere questo libro.
In generale posso dire che mi è piaciuto ma nello specifico ci sono alcuni punti che non mi sono piaciuti.
L'inizio della lettura è estremamente promettente. Le prime pagine mi hanno fatto enormemente divertire. L'ho trovato talmente ironico che ho pensato: "Dovrebbe essere una lettura obbligatoria alle scuole elementari (o medie) per far interessare e appassionare i bambini/ragazzi alla geometria! Raccontata così non possono che capirla e ricordarla con divertimento e facilità."
Purtroppo mi sono dovuta ricredere quasi subito, quando sono entrate in scena le donne. Queste non godono di alcuna considerazione all'interno della gerarchia sociale. Saranno anche temute perché, così appuntite, sono estremamente pericolose, ma non hanno praticamente intelletto. 
Mi rendo conto che a fine ottocento (quando il libro è stato scritto) le condizioni delle donne erano completamente diverse da oggi e che questo scritto vuole criticare la società contemporanea, però rimane il fatto che, ogni volta che si parla di donne, la scrittura risulta estremamente fastidiosa (almeno per me).
Che sia satira o sia un punto di vista dell'autore, poco importa. In ogni caso il lettore si ritrova costantemente davanti agli occhi questa figura della donna che non conta nulla nella società, del tutto priva di facoltà raziocinanti, che non ha né potere riflessivo, né giudizio, né, quasi, memoria. Una figura che, per legge, deve sculettare costantemente. 
Quindi, per quanto mi riguarda, si vanifica così la possibilità di presentarlo a bambini e ragazzi per apprendere, divertendosi, la geometria. Il concetto di donna inutile, da tenere ai margini della società è così costante e onnipresente che, al lettore disattento, potrebbe sembrare il tema principale.

In ogni caso la geometria è spiegata in maniera immediata e semplice, tanto che chiunque non potrà far a meno di appassionarsi.
Interessante l'idea che ci possa essere un mondo a più dimensioni di quelle che noi conosciamo.
Ma, sinceramente, non ho trovato l'idea così geniale.
Noi, esseri umani abitanti del pianeta Terra, conosciamo e comprendiamo un mondo a tre dimensioni che percepiamo attraverso cinque sensi. Possiamo immaginare un mondo a una o due dimensioni perché ci basta toglierne una o due da quello che conosciamo ma, comunque, non riusciamo ad immedesimarci del tutto in uno dei loro abitanti. 
Quando il nostro quadrato ci racconta del suo mondo immediatamente noi lo visualizziamo e lo capiamo ma, nella nostra mente, lo vediamo anche dall'alto, cosa che invece lui non potrebbe concepire. Esattamente come succede al quadrato quando incontra il mondo fatto di una sola retta. Lui sa che esiste una seconda dimensione e non riesce a prescindere da questa conoscenza.
Allo stesso modo noi non possiamo immaginare quello che non conosciamo e non possiamo escludere del tutto quello che diamo per certo.
La conoscenza umana si basa su quello che può essere verificato. E solo quando un'informazione soddisfa almeno uno dei nostri cinque sensi può essere verificata. Pertanto, se una cosa non è verificabile con uno dei sensi o se non abbiamo il senso che serve a verificarla, per noi, quella cosa non esiste.
Inoltre l'uomo non è né in grado di inventare né di immaginare. O meglio, non può immaginare o inventare qualcosa che non conosce almeno in parte.
Inoltre c'è il problema della prospettiva. Noi siamo molto bassi e abbiamo dei sensi molto deboli. Secoli e secoli fa una persona che nasceva sulle Alpi non poteva immaginare che esistesse il mare, tanto meno l'Inghilterra -per esempio-, e meno che mail l'America. Ora, in qualunque parte del mondo tu nasca, ti basteranno pochi anni prima che qualcuno ti faccia vedere una cartina geografica o un mappamondo o Google Earth. Quindi, ovunque tu nasca, darai per scontato che esitano le montagne, il mare, l'Inghilterra e l'America.
Allo stesso modo il quadrato, dalla sua prospettiva limitata, non può concepire che si possa andare verso l'alto e non ci crede finché non lo vede. Così è successo al primo pazzo che si è azzardato a dire che la Terra è tonda, gli è toccata più o meno la stessa sorte del quadrato quando parla di una terza dimensione.

Quindi, sì, in questo libro è carino il modo in cui la questione viene posta ma il concetto di base, per quanto estremamente interessante, è piuttosto semplice e lampante.
Come lo sono anche gli altri due concetti espressi nel libro: negare ed essere spaventati da quello che non si conosce; prendere in considerazione l'idea che esista altro oltre a quello che conosciamo e riuscir a creare un'immagine solo dopo averla vista.
Come il re di Linelandia non può credere e rifiuta quanto gli dice il quadrato, così il quadrato nega e rifiuta quanto gli dice la sfera. Facendo un salto avanti di cento anno, non succede la stessa cosa a noi quando si parla di alieni? E, ancora oggi, la politica del nostro governo (mondiale) non è la stessa di quella di Flatlandia? Entrambi sono spaventati dall'impatto che potrebbe avere sulla popolazione la notizia di qualcosa di nuovo e sconosciuto. Gli alieni, difatti, ci fanno paura perché non li conosciamo, e non li conosciamo perché la nostra prospettiva non ci permette di verificare se e dove abitino e come siano fatti (diamo per scontato che gli alieni siano ancora solo una teoria e che tutto quanto viene detto a riguardo siano solo ipotesi).
E quando il quadrato arriva a Spacelandia e la vede, solo in quel momento, riesce a creare l'immagine mentale di una sfera. Prima, nonostante le spiegazioni, non ci riusciva. E non ci riusciamo nemmeno noi. Infatti, quando ci immaginiamo un alieno partiamo sempre da una base conosciuta. Potrebbe essere un umano, un animale o qualunque altra cosa, o più cose assieme manipolate ed elaborate ma mai qualcosa che non includa almeno un elemento conosciuto.

Sono tutti spunti di certo interesse sui cui si potrebbe parlare e discutere per giorni interi ma, anche tenendo in considerazione l'epoca in cui è stato scritto il libro, mi sembrano comunque argomenti su cui uno si trova già a riflettere (o discutere) per conto suo.

Infine, sulla società, forse è la parte che ho apprezzato di più. È interessante vedere come le cose non cambino mai. Che sia l'antico Egitto, l'Ottocento, i giorni nostri o un mondo fatto di figure piane, ci sono classi e gerarchie sociali, chi sta in basso cerca qualche volta di elevarsi e chi sta in alto fa di tutto per mantenere intatta la sua posizione. Ci si basa su apparenze che dovrebbero dire su di noi più di quanto noi potremmo dire di noi stessi.


Una lettura breve e, tutto sommato, interessante, che in ogni caso mi sento di consigliare stando attenti a prendere come verità alcune parti (la nostra visione limitata ecc.) e come assolutamente sbagliate o satiriche altre (la figura della donna).









venerdì 6 luglio 2018

Recensione Hunger Games Trilogy




Hunger Games
di Suzanne Collins


Se ne sente parlare così tanto che viene da pensare che sia tutto marketing.

Allora ringraziamo il marketing che ci ha portati a leggerlo!! E che ci ha portati a vedere il film!
Eh sì, una volta tanto il film non solo non delude ma, con un cast a dir poco perfetto, ci fa rivivere ancora una volta quasi ogni singola sensazione che l'autrice è stata in grado di regalare.

Ero curiosa, molto, di leggere questa serie. Il successo, le recensioni e i commenti mi attraevano continuamente ma non trovavo mai il momento adatto per leggerla. Forse rimandavo per paura di una grossa delusione. Temevo che fosse sopravvalutata, temevo che mi smontasse l'opinione che mi ero fatta sui film dal momento che mi erano piaciuti abbastanza. Temevo che tutta quell'azione, che riesce benissimo sullo schermo, non funzionasse sulla carta. 
Non avrei dovuto temere niente e leggerla prima!
Bellissima! Tutta la serie è bellissima!!
Un distopia fatta bene!
[Ho rivisto i primi due film, visto il terzo per la prima volta e mi manca di vedere ancora il quarto. Ora che li posso paragonare ai libri posso dire che sono validissimi tutti. Ma devo anche dire che i libri li battono. Sulla carta c'è molta più interiorizzazione e molta più emozione.]

Ogni punto di questa storia è interessante e poi la trama funziona, è coinvolgente, ricca di azione.
I personaggi agiscono in maniera sensata, non ci sono eventi non spiegati o poco chiari. Ogni personaggio è ben delineato, coerente e spettacolare.

E se vogliamo parlare di personaggi femminili forti, beh: difficile trovarne uno migliore di Katniss!
E se vogliamo parlare di parità dei sessi questa è una vera bandiera!
Non so se l'avete notato ma.. c'è il tributo femmina e c'è il tributo maschio, tanto per sterminare equamente la popolazione, ma non si fa mai riferimento alla differenza di sesso. I favoriti sono favoriti perché provenienti da un certo distretto e con determinate capacità ma il sesso non influisce minimamente. 
Mai, e dico mai, ci sono frasi del tipo: "Ha vinto! Ed è una donna!" come se il fatto di essere donna rendesse la vittoria più importante perché più irraggiungibile (cosa che si basa sul presupposto che la donna sia inferiore e che pertanto denota la completa imparità tra i sessi). 
Questa è parità dei sessi: non fare differenza! 
Ci sono, nel corso della storia, tante, tantissime, occasioni in cui avremmo potuto trovare quei classici commenti finti femministi che esaltano i risultati di Katniss attraverso il suo essere femmina. Fortunatamente non ne troviamo neppure uno neanche a cercarlo. E solo per questo il libro meriterebbe già 5*.

Prima della lettura avevo visto i primi due film, il primo lo ricordavo benissimo, il secondo un po' meno.
Il punto che, durante la visione, lasciava sempre qualche dubbio erano le "storie d'amore" di Katniss; non si capiva cosa provasse realmente per uno e per l'altro, cosa c'era realmente tra lei e Gale? E tra lei e Peeta? Di certo non è questo il centro della storia ma faceva appartire lei come una stupida ragazzina indecisa e toglieva così forza al personaggio.
Bene, sappiate che questo è un "errore" del regista o dello sceneggiatore o semplicemente per motivi tecnici non si è riuscito ad elaborarlo bene. Nel libro queste due storie parallele d'amore danno maggiore forza al personaggio e lo rendono estremamente vero e reale. 
La protagonista ci spiega che in tutto questo trambusto non è che riesca tanto a pensare a cottarelle e storielle d'amore. Ci fa capire il legame che si è creato, nel tempo, con uno e con l'altro. Lei per prima vorrebbe capire davvero cosa prova ma, mettendosi nei suoi panni, ci risulta palese quanto possa essere difficile, in un momento del genere, comprendere appieno certi sentimenti.
Questo libro non è un romance, non esiste la parte romance! 
Si parla anche di Amore (vero amore) tra sorelle, tra genitori e figli, tra amici, tra possibili fidanzati. ANCHE è la parola chiave. Di certo non è il centro della storia e di certo sapere che sceglierà Katniss tra Peeta e Gale è assolutamente marginale. 

La scrittura in prima persona ci aiuta ad entrare in contatto con Katniss e ad immedesimarci in lei. E qui salta all'occhio la bravura e l'onestà dell'autrice. I pensieri e le azioni di Katniss sono reali, veri, plausibili. Sentiamo l'ansia, la paura, l'indecisione, la forza e la determinazione che le permetteranno di sopravvivere.

Per quanto riguarda la parte distopica è elaborata estremamente bene. Mi azzarderei a dire che è la migliore che ho letto dopo 1984 (che io ho letto, non che sia stata scritta).
Mi è capitato di fare una riflessione durante la lettura. Leggevo e pensavo: ma chi mai guarderebbe un reality del genere? Chi potrebbe stare davanti al televisore a guardare dei ragazzini che si uccidono tra di loro?
Agli abitanti dei distretti la visione fa male ma contemporaneamente sono costretti a tifare per i loro figli e, pertanto, sperare che uccidano gli altri. Mentre a Capitol City è intrattenimento puro. Loro non sono emotivamente e direttamente coinvolti, per loro è un reality come un altro, solo più interessante. E io mi chiedevo: ma com'è possibile che gli piaccia?
Poi mi è capitato, proprio durante la lettura, di vedere una puntata del Grande Fratello (che quest'anno più che mai ha toccato livelli di una bassezza inaudita! Per quanto io sia irribediabilmente attratta e affascinata dalla follia della società moderna ad un certo punto ho dovuto spegnere.). I meccanismi di questo gioco, dalla prima edizione ad oggi, sono cambiati molto. Nasceva, secondo me, come un interessantissimo esperimento sociologico in cui la chiave stava nel fatto che questi soggetti, che tra loro non si conoscevano, venivano isolati dal mondo. 
Poi il pubblico ha chiesto altro. E gli autori gliel'hanno dato. Ma il pubblico non si accontenta mai, vuole sempre di più. E gli autori hanno risposto.
Spesso, sovrappensiero (da tenere conto che mentre guardo questo immondo programma che offende l'intelligenza umana, stiro, mi faccio le unghie, cucio...), ho detto la frase: prima o poi gli piazzeranno un coltello o qualche altra arma davanti nella speranza che si uccidano tra loro!
Sì, perché i "meccanismi del gioco" sono fatti apposta per scatenare i concorrenti uno contro l'altro e, ad ogni edizione, ad ogni puntata, ho sempre più l'impressione che lo scopo sia di vedere il sangue che scorre.
Quanto Capitol City è lontano dall'America dell'imminente futuro? Quanto ci manca ad avere gli Hunger Gande Fratello Games?
Così come la moda, lo stile e gli abitanti di Capitol City fanno tanto ridere e sembrano tanto diversi, quanto sono in realtà diversi dal moderno modello americano in universale espansione? E quanto sono sempre più uguali i paesi tecnologicamente meno progrediti dai distretti?
Noi abitanti dei paesi "evoluti" in costante "progesso" (progresso tecnologico ma non di certo umano) coi capelli ogni stagione di colori diversi, con la faccia tatuata, consumisti fino al midollo in adorazione di Capitol American City, incapaci di produrre ma istruiti a consumare, dipendenti dall'elettricità e dalla produzione industriale, non ci sconvogliamo più per niente. Il linguaggio scurrile, una volta abolito dalla televisine, non fa più alcun effetto. Il sesso, una volta censurato, poi estremamente trasgressivo e attraente e poi di gran moda, ora non è più nemmeno interessante. Ora è di moda la violenza, verbale, senza censure. Reality e talk show, in cui tutti si professano contro la violenza, sono zeppi di gente che litiga, si urla addosso e si azzuffa. Non si azzuffano da soli? Nessun problema: gli autori dei programmi fanno in modo che lo facciano! E insistono, non demordono, fino a che non ci sono sangue e lacrime. E poi ecco le scuse pronunciate a richiesta per lasciare spazio ad una nuova battaglia. Gli autori dei programmi non sono dei cattivoni, sono commercianti che rispondono alle richieste di mercato.
Pertanto, dal chiedermi, sconvolta, chi mai guarderebbe un reality così?, sono passata al chiedermi: quanto ci manca per avere anche noi i nostri Hunger Games?

Una serie spettacolare da leggere tutta di seguito e che consiglio a tutti, dai più giovani ai meno giovani. Azione, amore, distopia, modernità, realtà, amicizia, senso dell'onore, senso del dovere.. Quali siano i vostri gusti non può non piacere!